IL PRETORE
    Letti   gli   atti   del   proc.  pen.  n.  1696/93  r.g.  pretura
 circondariale Brescia;
                     OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
    1. -  A  seguito  di  indagini  preliminari  il  p.m.  rinviava  a
 giudizio, dinnanzi a questo pretore, Bassetti Giovanni per rispondere
 del  reato  p.  e  p. dall'art. 21/3 della legge n. 319/1976 per aver
 scaricato, quale titolare dell'insediamento  produttivo  omonimo,  in
 corpo idrico superficiale, sostanze superiori ai limiti tabellari.
   All'odierno  dibattimento, preliminarmente, il difensore depositava
 istanza ex art. 444 del c.p.p. dell'imputato.
    Con la stessa  si  chiedeva  l'applicazione  di  L.  1.350.000  di
 ammenda in sostituzione di mesi due e gg. 20 di arresto.
    Il p.m. esprimeva il proprio dissenso attesa la insostituibilita',
 stante  il  chiaro  tenore  letterale  dell'art.  60/2 della legge n.
 689/1981, delle pene per i reati previsti dagli artt. 21 e  22  della
 legge n. 319/1976.
    Questo pretore, ritenendo allo stato fondato il dissenso del p.m.,
 provvedeva con la presente ordinanza dandone lettura in udienza.
    2.  -  Con  il  presente provvedimento viene impugnato l'art. 60/2
 della legge n. 689/1981 in  relazione  agli  artt.  3  e  27/2  della
 Costituzione  nella  parte  in  cui non consente l'applicazione delle
 sanzioni sostitutive ai reati p. e p. dagli artt. 21 e 22 della legge
 n. 319/1976.
    3. - Come si evince dal chiaro tenore letterale dell'art. 60 della
 legge n. 689/1981 le sanzioni sostitutive  non  sono  applicabili  ai
 reati  p.  e p. dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976; trattasi
 di rinvio fisso esclusivamente alle norme incriminatrici speciali  di
 cui  ai  suddetti articoli. "A contrario" esso non e' applicabile: a)
 per i reati previsti dalla  legge  n.  319/1976  ma  da  altre  norme
 incriminatrici  speciali  (23, 23- bis e 24- bis ); b) in riferimento
 ad ipotesi criminose miranti a tutelare il bene "ambiente" salvo  che
 sia diversamente disposto.
    Questo   pretore   aveva   cercato   di   risolvere   il  problema
 interpretativamente. Con varie sentenze si era fissato  il  principio
 che   tali   limitazioni   obiettive  dovevano  trovare  applicazione
 esclusivamente nella ipotesi in cui le sanzioni  sostitutive  fossero
 state applicate ex art. 53 della legge n. 689/1981.
    Si era, "a contrario", ritenuto che tali limitazioni non dovessero
 applicarsi nella ipotesi di istanze ex art. 444 del c.p.p.
    Piu'  volte  investita  dalla  questione la Corte di cassazione ha
 invece ritenuto che esse andavano applicate anche  in  riferimento  a
 queste  ultime  (cfr.  sentenze allegate alla istanza ex art. 444 del
 c.p.p.).
    Quindi puo'  ritenersi  "diritto  vivente"  il  principio  che  le
 sanzioni  sostitutive,  nel  nostro  sistema, non sono applicabili ai
 reati p. e p. dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319/1976 sia ex art.
 53 sia ex art. 444 del c.p.p. Da cio' una  fondamentale  conclusione:
 il  problema  che  si  porra'  non potra' essere risolto con sentenza
 interpretativa   ma   solo   mediante   l'intervento   della    Corte
 costituzionale.
    4.  -  Tale  assetto  normativo,  a  parere  di questo pretore, e'
 incostituzionale per violazione dei parametri indicati  al  paragrafo
 2).
    L'art.  3  della  Costituzione  impone, come e' noto, identita' di
 disciplina per identita' di situazioni. Da tale iniziale  significato
 la   dottrina   e   la   giurisprudenza  (anche  della  stessa  Corte
 costituzionale) hanno enucleato il criterio della c.d. ragionevolezza
 della disciplina come  criterio  di  valutazione  della  legittimita'
 della  stessa.  Esso  si sostanzia nella necessita' che la disciplina
 sia funzionale alla  realizzazione  di  un  fine  al  quale  essa  e'
 preordinata (cfr. fra le tante Corte costituzionale n. 54/1968).
    La  seconda norma impone di ritenere, anche a fini interpretativi,
 come   funzione   del   trattamento   sanzionatorio   quello    della
 "rieducazione"  dell'autore  del fatto. Si giustificano, proprio alla
 luce di tale valore costituzionale, taluni  benefici  previsti  dalla
 legislazione  ordinaria  quali  proprio  l'oblazione  e  le  sanzioni
 sostitutive.
    Da tali precetti, come sopra connotati, si determinano le seguenti
 conseguenze:
       a) necessita' che i benefici in  questione  siano  garantiti  a
 tutti i cittadini (salvo le limitazioni obiettivamente giustificabili
 proprio alla luce della funzione costituzionale della pena);
       b)  necessita' che i medesimi siano proporzionati al fatto; per
 cui e' certamente irragionevole una disciplina che faccia  conseguire
 a questo un beneficio piu' ampio e non quello meno ampio;
       c)  necessita'  che, ove il beneficio consegua alla commissione
 di un fatto-reato  esso  debba  essere  riconosciuto  anche  a  fatti
 "contigui"  al  primo  e  equivalenti  o  subvalenti  in  termini  di
 gravita'.
    5. - Delineato in tal modo l'art.  60  cit.  nonche'  i  parametri
 costituzionali  di  riferimento,  si  puo'  ora passare a trattare il
 merito della questione. Essa va affrontata su due direttrici.
    Da una  parte  analizzare  e  comparare  gli  artt.  21  e  22  in
 riferimento   ad  altre  norme  previste  dalla  legge  n.  319/1976;
 dall'altra comparare le suddette norme alle altre previste  da  leggi
 speciali in materia ambientale.
   Sotto   il   primo   aspetto  due  sono  i  punti  da  evidenziare.
 Innanzitutto, almeno per quanto riguarda il reato p. e p. dagli artt.
 21/1 e 22 in astratto e' possibile chiedere  e  ottenere  l'oblazione
 speciale,   indubbiamente  un  quid  pluris  rispetto  alle  sanzioni
 sostitutive. In secondo luogo, in astratto, non essendo stato escluso
 dall'art. 60 della legge n. 689/1981 ne' dall'art. 3 della  legge  n.
 305/1983   che   lo  ha  introdotto,  le  sanzioni  sostitutive  sono
 applicabili per il reato di cui  all'art.  24-  bis  della  legge  n.
 319/1976.   Tali  discrasie  del  sistema  costituiscono  altrettante
 disparita' di trattamento. Cio' e' evidente  in  riferimento  proprio
 all'art.  24- bis; invero trattasi di norma che disciplina lo scarico
 nelle acque del mare, fattispecie  strutturalmente  e  funzionalmente
 identica  a  quella prevista dall'art. 21. Giuridicamente il rapporto
 va descritto in termini di specialita'; quindi ci si trova di  fronte
 a  due  condotte  sostanzialmente  identiche  (quali quelle descritte
 dall'art.  21  e  dall'art.  24-  bis)  che  hanno   un   trattamento
 sanzionatorio  diverso. La prima non puo' fruire del beneficio di cui
 all'art. 53, la seconda si, pur essendo condotta equivalente (se  non
 piu' grave) della prima.
    E'  chiaro  allora  che  tale  disciplina  viola  il  principio di
 uguaglianza cosi' come connotato al punto 4/ c.
    In merito poi all'altro aspetto vi e' da  rilevare  che  l'attuale
 sistema  potrebbe  di  fatto comportare una disparita' di trattamento
 tra i cittadini in ragione delle condizioni economiche. Cosi', a  mo'
 di  esempio si puo' citare il caso in cui il reato di cui all'art. 21
 sia stato contestato in concorso tra due imputati l'uno, avendone  le
 possibilita' economiche, insta ex art. 162- bis; l'altro, non potendo
 immediatamente pagare la somma dovuta a titolo di oblazione, non solo
 non  potra' ottenere il beneficio dell'oblazione, ma neanche, proprio
 alla luce dell'art. 60 cit., potra' fruire dei benefici di  cui  alla
 legge  n. 689/1981. Anche cio' costituisce un'evidente violazione del
 principio di uguaglianza cosiccome connotato sopra al punto 4/ a.
    Quindi gia' l'interpretazione degli artt. 21 e 22, alla luce delle
 altre ipotesi criminose previste dalla legge n. 319/1976  nonche'  in
 rapporto  alle  ulteriori conseguenze derivanti dalla commissione dei
 fatti ivi previsti, consente di ritenere che  la  esclusione  operata
 dall'art. 60 appare essere irragionevole.
    6.  - Cio' e' ancor piu' chiaro se si va ad interpretare gli artt.
 21 e 22 cit. in riferimento ad altre ipotesi  criminose  previste  da
 leggi successive. Significativo e', per quello che qui interessa, che
 tutte le leggi in questione, in astratto, possono fruire dei benefici
 di  cui  all'art. 53 della legge n. 689/1981; cio' in quanto essi non
 sono esclusi ex art. 60 ne' tantomeno dalle varie leggi speciali.  Ci
 si riferisce, in particolare ai reati previsti dal d.P.R. n. 915/1982
 nonche'   dal   d.P.R.  n.  203/1988.  Su  tali  aspetti  dottrina  e
 giurisprudenza sono sostanzialmente  d'accordo.  Ma  a  questo  punto
 talune  fondamentali osservazioni si impongono. Innanzitutto tutta la
 legislazione  ambientale  si  fonda   sulla   medesima   "filosofia":
 sottoporre  a  controllo  amministrativo,  da  esercitare nelle forme
 della potesta'  autorizzoria,  tutte  quelle  attivita'  (scarico  di
 reflui   provenienti   da   insediamenti  produttivi,  immissioni  in
 atmosfera  da  insediamenti  produttivi,  gestione  latu   sensu   di
 riciclaggio   dei   rifiuti)   ritenute   potenzialmente  lesive  per
 l'ambiente; sottoporre  a  sanzione  penale  tutte  quelle  attivita'
 esercitate in violazione di tale potesta' della p.a. In secondo luogo
 in  taluni  dei  casi  in  questione  vi e' anche identita' del fatto
 materiale. La sinossi di alcune norme previste dalle  suddette  leggi
 dimostra  quanto  detto  sopra.  A  tal fine e' sufficiente comparare
 l'art. 21/1 della legge n. 319 con l'art. 24/1 del d.P.R. n. 203/1988
 (scarico - immissioni senza  autorizzazione);  ipotesi  questa  nella
 quale  addirittura  il  legislatore ha previsto la stessa pena, segno
 evidente che trattasi di fatti equivalenti in  termini  di  gravita';
 l'art.  21/3  con  l'art. 24/5 cit. (scarico - immissione superanti i
 limiti tabellari). Ancora: l'art. 21/1 con l'art. 25/2 del d.P.R.  n.
 915/1982;  a  tal  fine  e'  significativo  notare,  a comprova della
 contiguita' delle fattispecie previste, che l'art. 2/5 del d.P.R.  n.
 915/1982  fa  salva  la  legge  n.  319/1976  per  quanto riguarda lo
 sversamento di sostanze liquide salvo che trattasi di rifiuti tossici
 e nocivi; nel qual caso lo scarico in acqua delle  suddette  sostanze
 e'  comunque soggetto in toto alla disciplina del d.P.R. n. 915/1982.
 Da cio' un ulteriore discrasia. Con il suddetto meccanismo lo scarico
 di rifiuti tossici e nocivi, comunque  soggetto  al  d.P.R.  n.  915,
 proprio  sulla  base dell'art. 60 della legge n. 689/1981, verrebbe a
 fruire del beneficio delle sanzioni sostitutive, ed invece lo scarico
 di altre sostanze in corpo idrico superficiale, soggetto  alla  legge
 n.  319/1976, pur essendo un quid minus, com'e' evidente, rispetto al
 primo, non potrebbe fruire dei suddetti  benefici.  Cio'  costituisce
 violazione  del principio di ugualianza cosi' come connotato sopra al
 punto 4/ c.
    Tale sinossi  mostra  che  si  e'  in  presenza  di  attivita'  di
 sversamento  senza  avere  presentato domanda di autorizzazione o con
 autorizzazione revocata, o  rifiutata  ovvero  scarico  -  immissione
 superante  i  limiti tabellari. Quindi identico e' il fatto materiale
 previsto. In terzo luogo tutta la legislazione che si  e'  succeduta,
 come  si  evince  dai  vari  lavori preparatori nonche' dal contenuto
 precettivo delle norme, mirano a tutelare lo  stesso  bene  quale  e'
 l'ambiente  e mirano ad ottenere il medesimo risultato: la salubrita'
 dell'ambiente. Su questo punto  un'osservazione  si  impone;  sia  la
 legislazione  ordinaria  succitata  sia l'art. 9/2 della Costituzione
 consentono di ritenere oramai acquisito all'esperienza  giuridica  un
 bene quale appunto l'ambiente oggetto di interessi diffusi. Tale bene
 va  inteso  come  non  solo  le  bellezze  con  riferimento a criteri
 estetici, ma ogni preesistenza, l'intero  territorio,  la  flora,  la
 fauna,  in  quanto  concorrono a costituire l'ambiente in cui vive ed
 agisce  l'uomo.  E'  interessante  notare   che   tale   correlazione
 ambiente-uomo la si desume non solo dall'art. 9 della Costituzione ma
 anche dagli artt. 2 e 32 della Costituzione.
    Si  deve  allora  concludere  che tutta la legislazione in materia
 mira a tutelare lo stesso bene da condotte sostanzialmente identiche.
 Unica  differenza,  come  e'  evidente,  e'  data   dalla   attivita'
 materiale.  Ma  a  parere  di  questo  pretore  tale  fatto  non puo'
 giustificare una diversa disciplina in ordine alla applicazione di un
 beneficio quale quello di cui all'art. 53 della  legge  n.  689/1981.
 Cio'  per due ordini di ragioni: innanzitutto per quanto detto sopra;
 invero, troppi e tanti sono gli elementi di contiguita' fra le  varie
 fattispecie si' da fare ritenere irragionevole una disciplina diversa
 in ordine alla concessione di benefici previsti per legge. In secondo
 luogo perche' proprio la finalita' della legge n. 689/1981 mostra che
 il  legislatore  non  ha  voluto  escludere  "a priori", per tutte le
 violazioni  in  materia  ambientale,  la concessione dei benefici ivi
 previsti.
    A tal fine e' significativa la comparazione tra il  secondo  e  il
 terzo  comma  dell'art. 60 cit.. in quest'ultimo il rinvio e' operato
 proprio alle disposizioni disciplinanti una determinata  materia  (in
 materia  edilizia  ed  urbanistica,  di igiene e sicurezza del lavoro
 ecc.); mentre nel primo il rinvio, come gia' detto, e'  a  specifiche
 norme  incriminatrici  speciali;  segno evidente che, in quest'ultimo
 caso, il legislatore  non  ha  voluto  escludere,  pur  potendolo,  i
 benefici previsti dalla legge n. 689/1981 alla materia "ambientale".
    7.  -  Quindi l'attuale sistema, nei limiti in cui non consente di
 applicare i benefici di cui alla legge n. 689/1981 ai  reati  di  cui
 all'art.  21 della legge n. 319/1976, di fatto crea una diversita' di
 disciplina  tra  cittadini  in  ragione  o  delle   loro   condizioni
 economiche o delle attivita' in concreto esercitate. Tali elementi di
 "diversita'"   obiettivamente,  per  le  ragioni  anzidette,  non  la
 giustificano; per cui essa trasborda  in  disparita'  di  trattamento
 rilevante ex art. 3 della Costituzione.
    8.  -  A  questo  punto  occorre  peraltro affrontare un problema;
 trattasi di individuare quale disciplina, tra le  due  in  conflitto,
 sia  da  adeguare  ai  valori  costituzionali:  se quella attualmente
 prevista per gli artt. 21 e 22 ovvero quella attualmente prevista per
 le altre norme in materia ambientale.
    Ritiene questo pretore che la risposta da  dare  sia  nel  secondo
 senso.  Cio'  per  le  considerazioni  che  si  vengono  ad  esporre.
 Innanzitutto cio' in quanto le limitazioni di  cui  all'art.  60  non
 possono,  non  solo  essere  applicate  analogicamente  (come  sembra
 ritenere il pretore di Santhia con ordinanza del  15  marzo  1985  su
 Gazzetta Ufficiale n. 256- bis/85), ma neanche possono essere estese,
 con  sentenza  dalla  Corte  costituzionale,  stante  il  divieto  di
 rilevanza costituzionale, di applicare analogicamente  le  norme  che
 estendono  la responsabilita' penale (come e' indubbiamente l'art. 60
 nei limiti in cui non consenta l'applicazione di benefici  di  legge;
 su  tali aspetti cfr. Bricola "Commentario alla Costituzione" art. 25
 Bologna pag. 285). In secondo luogo cio' e'  imposto  dal  fatto  che
 l'attuale  disciplina  dettata  per  reati  diversi  di quelli di cui
 all'art. 60 appare piu' rispettosa del precetto di  cui  all'art.  27
 della Costituzione. Invero l'estendere la possibilita' di ottenere un
 beneficio  consente,  non  solo  di commisurare al massimo la pena al
 caso di specie, non  solo  di  trattare  alla  stessa  maniera  fatti
 sostanzialmente  identici, ma anche di consentire un'effettiva emenda
 del prevenuto.  Quindi  e'  chiaro  che  va  adeguata  la  disciplina
 attualmente  prevista  per gli artt. 21 e 22 a quella prevista per le
 altre leggi in materia ambientale.
    9. La questione come sopra posta e' rilevante ai fini del decidere
 il caso  di  specie.  Invero  ove  la  Corte  dovesse  accogliere  le
 prospettazioni  di questo pretore l'istanza proposta alla udienza del
 13 dicembre 1993  risultera'  essere  legittima;  in  caso  contrario
 risultera' alla radice inammissibile.